Condividiamo un racconto tratto dal libro “Sconfiniamoci storie di giovani migranti”. Testi scritti, durante l’anno scolastico 1997-1998, da alcuni allievi delle scuole elementari e medie romane.
AL MIO ARRIVO CIOCCOLATA E BISCOTTI
La storia di Mattia
Siamo partiti dall’Albania quasi due anni fa, avevo nove anni.
Ho preso la nave con mio padre e i fratelli di mio padre per venire in Italia. L’Italia, noi albanesi, la conosciamo per quello che vediamo in televisione ed è per noi un paese ricco e bello.
Mio padre mi diceva che dovevo essere contento ma la notte sulla nave, pensando a mia madre e alla mia sorellina rimaste in Albania, mi venne da piangere. La mia famiglia aveva potuto pagare il viaggio solo per mio padre, io essendo un bambino non pagavo. Avevo freddo, fame e sonno. Mio padre era contento e mi diceva che saremmo stati bene e presto sarebbero venute la mamma e la sorellina.
Quando la nave entrò nel porto di Brindisi era l’alba, mio padre mi svegliò. […]
Nel porto c’erano tante persone in divisa, forse poliziotti. Ci fecero scendere ad uno ad uno e ci
sistemarono in una scuola che, siccome era estate, era vuota. Una signora della Croce Rossa (aveva una
croce rossa sul braccio) mi diede una cioccolata calda e dei biscotti e un dottore gentile mi chiese se provavo dolore da qualche parte. Mi indicava la testa, la pancia,le gambe… a me face va male il cuore, perché pensavo a mia madre e a mia sorella.
Nel cortile della scuola, gli albanesi erano seduti per terra ed in fila, cercavano di non dare fastidio e questo fatto mi riempì di tristezza. Pensavo al mio paese, ai miei compagni e alla mia scuola che non esisteva più.
Mio padre aveva in Italia dei cugini, ci vennero a prendere e ci portarono a Roma: andammo ad abitare in una stanza con sei letti, in un angolo c’era un for nello per cucinare e un piccolo bagno. Un cugino di mio padre aveva una pompa di benzina a Monteverde e miopadre poteva lavare le macchine per 15.000 lire e tenere la metà dei soldi. Mio padre era felice perché sarei potuto andare a scuola. Ma la scuola fu un disastro. I compagni mi evitavano, nessuno voleva sedersi vicino a me e quando la maestra mi chiamava alla lavagna, qualcuno si alzava e odorava la sedia e poi faceva le smorfie come per dire che puzzavo
e tutti ridevano. Li odiai subito, tutti. Avevano tutto quello che desideravo: il cappotto, il berretto, lo zaino,l’astuccio ed il pallone per giocare a calcio. Mi prendevano in giro anche perché non parlavo bene l’italiano.
Ben presto capii che in quel “paese ricco e bello” non era facile vivere. C’è una grande intolleranza perché gli albanesi sono considerati cattivi, ladri e sfruttatori. A scuola tutti parlavano dell’Europa unita, di nazioni diverse che avranno un’unica moneta, ma di noi albanesi, che non siamo così diversi (anche geograficamente siamo vicini), non importa niente a nessuno perché il nostro paese è povero.
Poi la maestra mi spiegò che per me andare a scuola era una grossa opportunità ed io non conoscevo bene la parola opportunità, ma doveva essere una cosa come la speranza. Pensai alla mia sorellina ed allora capii che avrei fatto del mio meglio, che avrei studiato al massimo, che sarei stato il migliore e non per vivere in Italia come era la speranza di mio padre,ma per vivere libero
nella mia terra. Da grande lotterò per combattere la povertà del mio paese, perché è lì che sono nato ed è lì che voglio tornare.