La poca attenzione nello svolgimento del lavoro, la fretta, l’incompetenza non dichiarata, sono questioni culturali, dovute anche all’atteggiamento inconsapevole che il lavoratore ha maturato nei confronti della propria occupazione, con il silenzioso assenso del datore di lavoro e degli apparati dello stato. Talvolta interessa solo presenziare fino all’ora stabilita, non vi è in generale la tendenza a migliorarsi, anche perchè le aziende sono ormai talmente compromesse e spersonalizzate che gli sprechi e i problemi non vengono neanche considerati.
E’ chiaramente indispensabile una presa di coscienza, che porti ad un modo di lavorare più attento, più lento, dove la qualità domina le scelte organizzative e le tempistiche. Affinché ciò accada, i rapporti “Datore di lavoro-Lavoratore” e “Stato-Cittadino” devono necessariamente mutare.
Negli anni, il concetto di lavoro come fatica fisica o attività intellettuale è cambiato. Un tempo l’uomo si vergognava di lavorare, l’ozio e la contemplazione erano segnali di nobiltà e onore, mentre il lavoro era lasciato ai servi. Negli anni la situazione si è capovolta, ora è l’ozio a destare indignazione.
Il disprezzo verso la vita contemplativa ha portato però ad un impoverimento della sensibilità verso le questioni umane. Le persone vivono chiuse nel loro microcosmo lavorativo, tutto ruota in funzione del lavoro, specialmente i rapporti familiari. L’unico scopo è il mantenimento o raggiungimento di uno standard di vita confortevole, ma superficiale e labile.
Una società che si basa sul lavoro per ottenere unicamente comfort è destinata a crollare.
Il bene comune è la meta da seguire, una legge naturale, di rapporti, relazioni, d’animo.
I valori umani costituiscono le fondamenta della società, ma nel mondo globalizzato queste basi sono miseramente crollate.
La mania speculatrice ha corroso la società dalle fondamenta. Se l’imperativo è il PIL, il denaro, allora non esistono limiti, non esistono prospettive lungimiranti, non esiste collaborazione e non regna la pace.
La sovrabbondanza della produzione industriale crea ormai più problemi di quanti potrebbe risolverne, essa porta a non attribuire il giusto valore alle risorse e sbilancia gli equilibri naturali. Purtroppo questo modo di agire cambia subdolamente le nostre idee sulla vita.
Si arriverà così ad una società “robotica” in cui gli individui vivono senza scopo.
Il lavoro ha perso così il suo intento fondamentale, quello di organizzarci per il bene comune, dando un senso di utilità alla nostra presenza sulla Terra.
Tutto ciò che è ripetitivo ed automatico prima o poi stanca. La creazione e l’ideazione sono processi umani naturali, totalmente avulsi dalla catena di montaggio o dagli uffici/alveari. Questi tipi di lavoro sono accettabili solo se contribuiscono in misura determinante al bene comune e se vengono svolti per un tempo molto limitato. Il lavoro dovrebbe essere, per l’uomo, un bisogno e un piacere al contempo.
Oggi dobbiamo riportare alla luce il pensiero e i ragionamenti sul rapporto vita-lavoro, riscoprendone il vero significato.
Oltre alla formazione tecnica, il mondo del lavoro necessita di pensieri, riflessioni, di tempo per poter progettare la nuova società.
Il lavoro è un dovere e un diritto. A causa dell’aggressività degli interessi finanziari ci si è nascosti dietro ai diritti, dimenticando però i doveri.
Per ristabilire l’equilibrio che sorregge il lavoro è necessaria la fiducia tra chi organizza e stabilisce le regole e chi le rispetta e le mette in pratica.
In Italia questo non è mai esistito. Da una parte si infierisce sul cittadino, trattandolo a priori come un potenziale bugiardo, disonesto ed evasore, dall’altra il singolo preferisce seguire la massa, sopravvivere tra furbizie ed espedienti, allineandosi verso il minimo della consapevolezza.
Mettiamoci veramente al lavoro, imparando dai grandi umanisti, che riportando le qualità dell’uomo al centro del mondo, indussero la società ad uscire dal buio Medioevo, per approdare al prospero Rinascimento.