Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, almeno 1.000 persone sono morte o sono dispersi dopo una serie di incidenti mortali nel Mar Mediterraneo durante la scorsa settimana.
Secondo il bilancio tracciato dall’Organizzazione mondiale per le migrazioni OIM, nel 2015 sono 3.771 le persone morte quest’anno nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare.
La maggior parte dei migranti ha perso la vita nel Canale di Sicilia, lungo la rotta centrale del Mediterraneo che collega la Libia all’Italia: è in questo tratto di mare che le imbarcazioni usate dai trafficanti rischiano di naufragare.
Sono stati circa 1.930 i migranti morti nel tentativo di arrivare in Italia, mentre sono stati circa 60 i migranti morti sulla rotta verso la Grecia, dati che suggeriscono che la rotta del Canale di Sicilia sia la più pericolosa.
Per questo è stato deciso di potenziare l’operazione Triton: il Mediterraneo è ora pattugliato da un maggior numero di imbarcazioni anche se il loro scopo principale è il controllo della frontiera e non la «ricerca e il soccorso», che erano invece al centro dell’operazione italiana Mare Nostrum e che in molti hanno messo a confronto.
L’operazione Triton è partita il primo novembre 2014 ed è una missione europea dispiegata da Frontex, l’Agenzia europea delle frontiere. Il mandato non è salvare le vite in mare, ma operare il controllo delle frontiere, che è la mission istituzionale di Frontex. Tuttavia, in caso di necessità, si operano anche interventi di ricerca e soccorso. I mezzi impiegati sono due aerei, un elicottero, tre navi d’altura, quattro motovedette. Per rispondere al mandato, le navi di Frontex si mantengono in un’area entro 30 miglia dalle coste italiane, senza spingersi a sud verso le coste libiche. Il budget mensile è di 2,9 milioni di euro.
Mare Nostrum era l’operazione militare italiana (dell’Aeronautica Militare, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Capitaneria di Porto), le navi d’altura si spingevano fino a ridosso delle coste libiche per operare i soccorsi e arrestare gli scafisti. Il costo dell’operazione era di circa 9,5 milioni di euro al mese.
“Troppi sbarchi in poche ore”, così spiegano l’emergenza al Viminale: un’ondata che ha intasato i quattro hotspot oggi in funzione e proprio per questo motivo si sta pensando di portarli a sei.
Gli hotspot galleggianti sono centri d’identificazione che hanno sede in mare, dove i profughi vengono fotosegnalati, poi portati a terra e da lì, per chi non ha diritto all’asilo, rimpatriati. Tre sono in Sicilia (Trapani, Pozzallo, Porto Empedocle) e uno sull’isola di Lampedusa. Entro luglio dovrebbero aprire anche i centri di Taranto e Augusta. Si pensa concretamente a un presidio nel Mediterraneo: “Potrebbe essere un grande traghetto, oppure la San Giusto, in grado di accogliere fino a duemila migranti, per procedere già a bordo alla prima identificazione e allo screening sanitario”.
Quella degli hotspot galleggianti, ci tengono a specificare dalla Commissione Ue, è un’idea tutta italiana sulla quale peraltro a Bruxelles non è arrivato alcun “chiarimento”.
«È un fenomeno che durerà anni e che necessita di un’azione in Africa. Da farsi come Unione europea. Finché non li aiuteremo a casa loro, continueremo a cercare di tamponare, ma un tampone non è mai la soluzione», afferma Matteo Renzi.
Il prossimo banco di prova potrebbe essere il Consiglio europeo del 29 e 30 giugno, nel quale il governo italiano cercherà alleanze per il migration compact.
Il documento “Migration Compact” ha un’appendice dedicata alla Libia, la cui stabilizzazione è cruciale per fermare i flussi. L’Italia sottolinea l’importanza della cooperazione col nuovo governo, che andrà aiutato a controllare efficacemente il territorio, e chiede di potenziare l’operazione navale contro i trafficanti EUNAVFOR MED Sophia, anche allargandone il mandato, fino alla formazione dei guardacoste libici.
L’Ue dovrà offrire supporto alla Libia per migliorare le sue capacità nei campi della polizia e della giustizia penale, nella lotta al terrorismo e nella gestione dei flussi. E insieme alle Nazioni Unite dovrà aiutare “a gestire i flussi migratori in territorio libico”, anche dividendo i rifugiati dai migranti economici, con programmi di reinsediamento per i primi e rimpatri per gli altri.
In ogni caso, il primo passo della strategia dovrebbe riguardare l’identificazione dei principali paesi partner e avviare incontri con i quali definire il tipo di cooperazionea da sviluppare.
L’Unione Europea dovrebbe offrire ai Paesi terzi:
– Progetti di investimento;
– Un legame Euro-Africa , per facilitare l’ accesso dei Paesi africani ai mercati dei capitali, che consenta a quei Paesi di finanziarsi a tassi che le garanzie europee manterrebbero più bassi di quelli attuali;
– Cooperazione nella sicurezza attraverso la gestione delle frontiere, la giustizia penale , la gestione dei migranti e rifugiati in linea con le norme internazionali;
– Ingressi legali e questo vuol dire sbloccare quote di ingresso per lavoratori, ma anche offrire informazioni e formazione (lingua inclusa) insieme alle imprese che assumeranno, incrocio tra domanda e offerta, programmi Erasmus plus per studenti e ricercatori;
– Programmi di reinsediamento, a titolo di risarcimento a quei paesi che si sono impegnati nella creazione di sistemi nazionali di asilo.
Cosa può chiedere l’Europa?
Innanzitutto, un impegno efficace di controllo delle frontiere e riduzione dei flussi verso l’Europa. I paesi terzi dovrebbero impegnarsi anche nelle attività di ricerca e soccorso, magari in cooperazione con la futura Guardia di Frontiera Europea, dovrebbero garantire la cooperazione per i rimpatri e la riammissione dei migranti irregolari.
L’Ue supporterà i paesi terzi a istituire sistemi d’asilo nazionali che offrano protezione in loco a chi ne ha bisogno, “in linea con gli standard internazionali”. Organizzazioni internazionali come Unhcr e Oim e potrebbero collaborare alla creazione di centri di accoglienza per i rifugiati finanziati dall’Ue. La lotta ai trafficanti di uomini dovrebbe essere potenziata dalla cooperazione di polizia e giudiziaria.