Quando? Quando il lavoratore ritiene che siano stati lesi i suoi diritti o le sue aspettative economiche, anziché avviare un impegnativo processo giudiziario può proporre un tentativo di conciliazione al fine di risolvere consensualmente il contrasto con il datore di lavoro.
Se il datore di lavoro accetta, l’eventuale accordo è vincolante. In caso di mancato accordo, la commissione di conciliazione è tenuta a fare una proposta; in sede di giudizio il giudice tiene conto di un eventuale rifiuto senza adeguata motivazione
L’accordo viene raggiunto al di fuori del contesto processuale (previsto nell’art. ex 410 e seguenti C.p.c.) e, nel contesto giuslavoristico, può essere distinto in sede sindacale, ossia avanti ad una Commissione territoriale, procedura in cui i tempi risultano più rapidi non ricorrendo alle procedure giudiziali.
In riferimento alla conciliazione stragiudiziale la legge 183/2010 ha eliminato l’obbligo di esperire un tentativo conciliativo in sede amministrativa prima di avviare la causa innanzi al giudice del lavoro. In passato chi voleva promuovere una causa di lavoro per qualunque motivo, aveva l’obbligo di esperire preventivamente il tentativo obbligatorio di conciliazione avanti all’apposita commissione della Direzione provinciale del lavoro, obbligo che a oggi non esiste più, se non nell’ipotesi in cui si intenda impugnare un contratto certificato.
Tale procedimento di conciliazione non è soggetto, per legge, a forme particolari in quanto è la contrattazione collettiva a dettarne le regole.
I rappresentanti sindacali legittimati ad assistere il lavoratore sono in genere individuati dai CCNL. In mancanza di previsioni particolari la giurisprudenza partendo dal presupposto che la funzione del sindacato nelle conciliazioni è quella di assistere il lavoratore e non di rappresentarlo, ritiene sufficiente il mandato del lavoratore (Cass, 22 ottobre 1991, n. 11167).
Occorre precisare che è possibile ricorrere alla conciliazione in sede sindacale esclusivamente per le materie espressamente previste, a tal fine, dai medesimi contratti o accordi collettivi previsti dei termini all’origine dell’assunzione.
Il tentativo di conciliazione deve essere eseguito dalla Commissione entro 60 giorni dalla presentazione della richiesta in forma scritta dove vi sono indicati:
Una volta ricevuta la richiesta, la commissione convoca le parti entro dieci giorni dal ricevimento della richiesta.
Nel caso in cui il tentativo va a buon fine, viene formato un processo verbale, contenente le condizioni raggiunte. Il verbale viene sottoscritto dalle parti, alla presenza del presidente della commissione.
L’accordo così raggiunto nel verbale, per acquistare efficacia, dovrà necessariamente essere presentato, a cura del lavoratore, alla Direzione Provinciale del Lavoro, per essere poi depositato nella Cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto.
Il giudice a quel punto compie un accertamento sulle regolarità del verbale ed emette un decreto con il quale dichiara esecutivo il verbale.
Solo in seguito a questo passaggio, in caso di inadempimento degli accordi del datore di lavoro, il lavoratore potrà dare vita ad procedimento esecutivo per vedersi riconosciuti i propri diritti.
NB: esistono dei casi in cui il lavoratore può impugnare il verbale di conciliazine anche se di norma non lo sarebbe.
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